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Stefano Luppi
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Non sarà né una fondazione privata né un museo, bensì un’iniziativa per condividere con gli appassionati d’arte le opere che abbiamo messo insieme durante la nostra vita che possiamo dire essere stata fortunata. Ci sentiamo più guardiani temporanei che proprietari di queste opere». Nancy Olnick, americana, e il marito Giorgio Spanu, italiano, illustrano così il loro progetto: l’apertura, il 28 giugno nell’Hudson Valley, di Magazzino Italian Art, un nuovo spazio espositivo privato dedicato all’arte italiana del secondo Dopoguerra e contemporanea. Nancy Olnick proviene da una famiglia di costruttori (il padre, Robert S. Olnick, scomparso nel 1986, è stato un pioniere nello sviluppo dell’edilizia residenziale e commerciale a New York), di cui oggi gestisce il patrimonio immobiliare. Il marito Giorgio Spanu, con un passato nella comunicazione per importanti imprese in Francia e in America, è nato in Sardegna. Abbiamo incontrato i collezionisti alla vigilia della nuova apertura.
Perché avete dedicato la mostra inaugurale alla gallerista Margherita Stein?
Abbiamo deciso di dare vita a un omaggio a questa donna volitiva e coraggiosa, pioniera del movimento dell’Arte povera e fondatrice della storica Galleria Christian Stein di Torino. La Stein assunse lo pseudonimo di «Christian Stein» il nome e cognome del marito, al tempo un giudice molto rispettato a Torino, allo scopo di ottenere il riconoscimento necessario per gestire quella che sarebbe diventata una delle più autorevoli gallerie d’arte contemporanea del suo tempo. Non l’abbiamo conosciuta di persona purtroppo, ma in vista dell’apertura di Magazzino abbiamo incaricato la giovane storica dell’arte Lara Conte di fare una ricerca sulle opere della collezione e così abbiamo avuto la conferma di ciò che già sospettavamo: il 90% delle opere della nostra raccolta di Arte povera erano appartenute proprio a lei. All’ultima Miart a Milano, tra l’altro, abbiamo acquistato un lavoro del 1994 dell’amico scomparso Kounellis e solo dopo abbiamo scoperto che era appartenuto alla Stein. Incredibile.
La gallerista lavorò negli ultimi anni in America perché sperava che i «suoi» artisti entrassero nei musei. Voi seguite i suoi passi?
Questi artisti, quando abbiamo iniziato a collezionarli nei primissimi anni Novanta grazie a un gallerista di Modena operativo a Roma, Sauro Bocchi, scomparso pochi mesi fa, al di là dell’Oceano non erano molto conosciuti. Fino ad allora la nostra collezione era rivolta all’acquisto di opere di maestri dell’arte moderna e di artisti della Pop art americana. Grazie all’artista romano Domenico Bianchi siamo entrati in contatto con Gianfranco Benedetti, erede morale e materiale della Stein, da cui abbiamo acquistato molti dei lavori appartenuti alla grande gallerista.
Come funzionerà Magazzino?
Magazzino si potrà visitare su prenotazione; ospiteremo 150 persone alla volta anche se il luogo potrebbe contenerne molte di più. Organizzeremo una navetta dalla stazione ferroviaria di Cold Spring per facilitare le visite. L’ingresso è gratuito. Se qualcuno vorrà fare un’offerta, potrà farla a favore di «Urban Arts Partnership» di New York, un’associazione non profit che promuove l’insegnamento dell’arte in scuole disagiate. Questo ente gestirà i soldi in totale autonomia.
Siete collezionisti onnivori?
Abbiamo molte collezioni, ci piace condividere la nostra passione con gli amici e con chi è interessato all’arte senza secondi fini. Le opere sono un po’ come i nostri figli, infatti come già detto ci sentiamo più guardiani temporanei che proprietari di queste opere.
Quali sono le vostre raccolte?
Oltre alle opere che esponiamo in questa prima mostra, abbiamo molti lavori dell’arte del ’900 internazionale, di Jean Dubuffet, degli artisti pop, di Jackson Pollock, degli espressionisti astratti fino a Mark Rothko ma anche Paul Klee, Amedeo Modigliani e Giacomo Balla. Nancy ha poi un’ampia collezione di gioielli di artisti realizzati tra gli altri da Lucio Fontana, Calder e Melotti. Nancy ha, inoltre, curato per «Loot» al Museum of Arts and Design» di New York mostre dedicate ai gioielli d’artista. Disponiamo inoltre di una raccolta di vetri di Murano, esposta in più occasioni in vari Paesi del mondo, e di ceramiche tra cui quelle di Melotti, Fontana, ma anche dell’avellinese Guido Gambone e del figlio Bruno. Nel parco dell’abitazione di campagna a Garrison (New York), progettata dall’architetto Alberto Campo Baeza, abbiamo inoltre dato vita a un progetto di residenza, «The Olnick Spanu Art Program», invitando un artista all’anno a realizzare un’opera site specific. Gli artisti presenti sono Giorgio Vigna, Massimo Bartolini, Mario Airò, Domenico Bianchi, Remo Salvadori, Stefano Arienti, Bruna Esposito, Marco Bagnoli, Francesco Arena e Paolo Canevari. Per questo progetto è stato di grande ispirazione l’incontro con Giuliano Gori e la sua collezione di arte ambientale della Fattoria di Celle. Presto inoltre organizzeremo una retrospettiva di Maria Lai, scomparsa nel 2013 e che quest’anno è tra gli artisti scelti per la Biennale di Venezia.
Qual è stata la prima opera che avete acquistato?
È stato un lavoro dell’americano Tom Wesselmann, molti anni fa, mentre per quanto riguarda l’Italia un disegno di Amedeo Modigliani, poi grazie all’amicizia con Sauro Bocchi ci siamo avvicinati all’arte italiana contemporanea. Bocchi ci fece conoscere e poi acquistare lavori di Boetti, Fabro, Fontana, Gilardi, Manzoni, Melotti, Merz, Pistoletto e Zorio.
Perché vi siete focalizzati in particolare sul secondo Dopoguerra?
I Sessanta e soprattutto i Settanta sono gli anni durante i quali eravamo giovani e il mondo cambiava, è stato un periodo rivoluzionario. Ci hanno particolarmente attratto gli artisti dell’Arte povera anche perché contrari alla commercializzazione dell’arte, l’esatto contrario in questo degli esponenti della Pop art qui in America. Magazzino Italian Art è inoltre «donor» del progetto «The Campi», sculture sonore ispirate alle iconiche piazze di Venezia che l’artista americana Melissa McGill presenta il 9 maggio alla prossima Biennale di Venezia.
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