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«Asparagi» di Edouard Manet, Wallraf-Richartz Museum, Colonia

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«Asparagi» di Edouard Manet, Wallraf-Richartz Museum, Colonia

Il dottor Divago: Giotto, Proust, gli asparagi, i polli e le pernici

Divagazioni letterarie e pittoriche di Stefano Causa

Stefano Causa

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Marcel Proust. La sguattera e gli asparagi. Pel di carota e le pernici. I polli e Françoise. Le nature morte di Manet. Le illustrazioni di Felix Vallotton. La «Carità» di Giotto e le «Virtù» dell’Arena di Padova. Se corresse qui l’obbligo di enumerare alcune parole d’ordine, come si richiede oggi quando si consegna un contributo per una rivista, sarebbero queste le prime da usare per giocare di nessi, spiluccando nel primo tomo della Recherche («La strada di Swann», 1913) dove, come strizzava l’occhio Roland Barthes, «da una lettura all’altra non si saltano mai gli stessi passi».

Intanto ci aggiriamo nella casa del narratore a Combray scoprendo nomi, cose e persone come in un dipinto olandese di alta scuola. E incontriamo la sguattera in cinta («la fille de cuisine») che ha il compito di spiumare gli asparagi. «Un’entità morale, una istituzione permanente, cui delle attribuzioni invariabili assicuravano una specie di continuità e d’identità», così traduce la Ginzburg. Il meccanismo automatico, familiare ai proustiani, di assimilare un viso o una persona a un artista o a un’opera, qui tira in ballo Giotto e i monocromi degli Scrovegni.

La sguattera gravida è come la «Carità» («la bellezza particolare di questi affreschi sta nel gran posto che vi tiene il simbolo, e che il fatto ch’esso non sia rappresentato come simbolo…ma come reale, come effettivamente subito o materialmente maneggiato»). Proust storico d’arte? Il più grande e, d’altronde, nella riscoperta dei primitivi, Luciano Bellosi riteneva questo passo più utile del saggio di Offner (Giotto non Giotto del 1939) per intendere la «straordinaria concretezza» della figurazione dei murali padovani. Da Giotto agli asparagi il salto è breve. Leggiamo: «li aveva accanto a sé in un canestro…e le leggere corone d’azzurro che cingevano gli asparagi sopra le loro tuniche rosa eran tracciate con sottile disegno, stella dopo stella, come nell’affresco i fiori a ghirlanda sulla fronte o assestati nel canestro della “Virtù” di Padova».

Ignoro francamente se nasconda un doppio fondo il trasporto con cui rivivono questi asparagi simbolo, secondo il Dizionario erotico di Guiraud, del pene o della fellatio. Mi interessa di più capire come queste pennellate abbiamo germinato nella fraseologia degli specialisti di natura morta, specie di quelli di orbita longhiana che i tomi della Recherche possedevano, più o meno spaiati, nella propria biblioteca. D’altronde sono da mettere a commento ritardato di un «Mazzetto di asparagi» di Manet del 1880 oggi a Colonia.

«La Carità» di Giotto, Padova, Cappella degli Scrovegni

Proust, Manet e Scrovegni. Il cortocircuito a ritroso con Giotto avrebbe fatto venire l’acquolina in bocca allo stesso Roberto Longhi che nei salti carpiati con doppio avvitamento si produce a partire dal Viatico per cinque secoli di pittura veneziana (scritto trent’anni dopo le pagine proustiane) e dove Manet, Renoir e Monet sono convocati a far da controfigure rispettivamente a Giorgione, Tiziano e Bassano. L’attracco giottesco della «Carità» di Padova prepara la scena dell’animale morente.

Françoise è alle prese con un pollo che non si decide a morire («con la sua resistenza disperata e del tutto naturale»). La cameriera «cercava di fendergli il collo sotto l’orecchio» (Raboni nel 1983 traduceva con «bucare», Ndr). Quando fu morto (così si chiude il cerimoniale sacro, Ndr) raccolse il sangue che ancora colava senza spegnere il suo rancore; ebbe ancora un soprassalto di collera e contemplando il cadavere del suo nemico disse un’ultima volta: “Bestiaccia” (“sale bete”)». Ma il Narratore, che risale le scale tremante sa che quel pollo, rivestito come un santo, gli verrà servito il giorno dopo «con la sua pelle ricamata d’oro come una pianeta e il suo sugo prezioso uscito goccia a goccia da un ciborio».

Quanto più asciutto il modo in cui il tema sempre verde dello scannamento viene trattato da uno scrittore stilisticamente opposto, ma che Proust conosceva: Jules Renard. In Pel di Carota, uscito da Flammarion nell’ottobre 1894 non si parla di polli ma di pernici (Les Perdrix). Il protagonista ha «l’incarico speciale di finire i capi feriti» («deve tale privilegio alla ben nota durezza del suo arido cuore»). Ma qui non arrivano echi figurativi a rendere tutto più solenne: «Le pernici si difendono convulse, e, battendo le ali, sparpagliano le loro piume. Quando mai vorranno morire…Se le mette fra le ginocchia, per tenerle ferme e, ora rosso, ora bianco, ora tutto sudato, a capo in su per non vedere nulla, le stringe più forte. Ma loro si ostinano. Rabbioso di finirle, le afferra per le zampe e sbatte le teste sulla punta della scarpa». A commentare la pagina di Renard ci sono le illustrazioni in bianco e nero di Vallotton per la seconda edizione del 1902. Ma su Pel di Carota dovremo tornare ripassando per Rosso Malpelo, Ennio Morricone e Rita Pavone. Farà capolino anche Pinocchio, che il grillo lo spiaccica al muro con una martellata sola. «Mourir c’est facile» diceva qualcuno. Dipende dal boia.

Illustrazione per «Pel di Carota» (1902) di Félix Vallotton

Stefano Causa, 11 ottobre 2024 | © Riproduzione riservata

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