Stefano Causa
Leggi i suoi articoliCosa danno al cinema nel 1975? A memoria: «Profondo Rosso», «Amici miei», «Fantozzi», «La Donna della domenica» e «Professione reporter» di Antonioni. Argento oro e bronzo ben equilibrati: decidete voi a chi assegnare le medaglie e quali. Ma quell’anno, al centro del decennio del terrorismo, è la prima volta della meranese Gloria Guida. Nelle prime sequenze della «Liceale» di Michele Massimo Tarantini (1975) è appunto giorno di scuola.
Al muro, benedice e protegge l’ora di storia dell’arte la riproduzione della «Madonna del Granduca» di Raffaello. Interrogazione su Prassitele: al ragazzo un poco ciccio che risponde, in cortocircuito antico moderno, che la Venere Cnidia del Pio Clementino l’ha vista tante volte fuori dei musei («ormai si spogliano tutte!»), il professore obietta: ma come! Un capolavoro dell’arte greca. E snocciola l’olimpiade degli scultori. Policleto. Mirone. Finalmente Scopa: il cui nome ribatte tre volte come un auspicio per sé stesso prendendo a sudare, con occhio lubrico, mentre, strategicamente al primo banco, una giovanissima Guida, madrina ideale di Sharon Stone, accavalla e scavalla le gambe (tra cui, diversamente dal cimento basico del 1995, gli slip stanno ancora a posto).
Splendida Gloria ventenne. Che Dio la benedica. Di lato Ilona Staller ai suoi esordi manda sguardi d’odio. Poco più dietro, fila centrale, Alvaro Vitali pilota la squadriglia dei guardoni di classe completando a pennarello nero un nudo integrale di spalle (Guttuso ultima maniera): «Schizzo d’amore» dirà, chissà perché in siculo, al professore che gli sequestra il foglio.
Auto, cravatte, foulard, giacche sciancrate, pose, trucco, minigonne, doppi sensi e luoghi comuni regionalistici: tutto, virato in seppia, declina la lingua, politically uncorrect, degli anni ’70. «Chi mi ama mi segua» aveva scritto Oliviero Toscani sulle chiappe del jeans Jesus. È la password di metà decennio.
Uscito nel ’75, in Francia due anni dopo, la «Liceale» non è il peggiore film del decennio. Intanto diede la stura a un pugno di pellicole di titolo o ambientazione liceale e, di riflesso, vagamente francese. Non so francamente se si possa dire che, cambiate le cose da cambiare, siamo ai primi vagiti di un filone tardo adolescenziale che sfocerà, a fine decennio, arretrando di una generazione, nella saga francesissima del «Tempo delle Mele».
Certo tra i motivi di interesse che sollecitano una revisione meno pregiudiziale del capostipite del cinema liceale, non ci sono solo l’efflorescenza della Guida o le sortite dei migliori caratteristi nostri (Carotenuto in cima a finire con Enzo Cannavale e Gianfranco D’Angelo), ma la scelta di location per nulla scontate, da Trani in su. A Roma c’è una sequenza nello Stadio dei Marmi del Foro Mussolini (o Foro Italico) fotografato come mai prima e che diventa cornice per il bacio inaugurale della Guida e di un attore di razza, qui mirabilmente fuori parte, come Giuseppe Pambieri, che gli italiani della televisione avevano già conosciuto nella parte di Remo nelle «Sorelle Materassi».
Guida e Pambieri si guardano, si cercano e s’inseguono tra polpacci, piedi e glutei fascistissimi selezionati tra le sessanta statue dello Stadio dei Marmi, completato su progetto di Enrico Del Debbio nel 1932. In cabina di regia Giancarlo Ferrando che ha fotografato molto bene gran parte del cinema italiano del decennio. Ma qui il meglio della scultura tra le due guerre in Italia ottiene la prima lettura critica, il suo battesimo del sangue. A riprova che la storia dell’arte comincia dai banchi delle magistrali. Non necessariamente seduti composti.
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