Redazione GDA
Leggi i suoi articoliQuando hanno chiesto a me, Arlecchino, se volevo diventare il ministro dei Beni culturali, cioè il ministro dell’arte, sono rimasto veramente a bocca aperta. Io che ho sempre da dire qualcosa su tutto, questa volta sono rimasto zitto almeno per un minuto. Non mi era mai successo. «Ma che cosa vi è saltato in mente? Ministro io? Perché diavolo avete pensato a me? Io che cosa c’entro?». Mi hanno spiegato che prima di tutto io piaccio alla gente, che Arlecchino è una delle maschere più simpatiche a nonni e piccini, che piaccio a tutti perché li faccio ridere, e che questo, di piacere a tutti, di renderli allegri e spensierati, di farli ridere, è la cosa in assoluto più importante: «Voti, mi hanno detto. Tu prendi più voti di tutti gli altri, tu hai il massimo dell’indice di gradimento. È questo che conta». A me battono sempre le mani.
Ridono e mi applaudono. In politica, è esattamente quello che ci vuole.
Poi mi hanno ricordato che io sono una maschera e che questo in politica conta moltissimo, perchè tutti quelli che fanno politica sono delle maschere, cioè tutti nascondono quello che sono, ma che nessuno è divertente. I politici più divertenti sono i pagliacci, ma ormai sono in tanti, troppi, e la gente non ride più. Anzi li disprezza, li compiange perché le fanno pena. Io invece sono una maschera vera. Una maschera autentica.
Mi rispettano perché sono la maschera più simpatica di tutte, la più popolare.
Un altro fatto importantissimo è come sono vestito: io sono Arlecchino, vestito con tutti i colori! Questo, mi hanno detto, è pazzesco: nessuno può dire di che colore sono, se sono rosso, verde, giallo, azzurro o pistacchio. Dicono che tutti i politici hanno un colore, ma solo uno alla volta anche se lo cambiano spesso. Ogni volta indossano il colore che piace di più. Io invece sono «sempre» di tutti i colori: perciò piaccio a tutti, perché vesto i colori di tutti. Nessuno si mette contro di me, perché io sono anche del suo colore. Inoltre, vado benissimo a fare il ministro dei Beni culturali perché io sono un personaggio storico, sono antico, sono letterario. Sono vecchio di secoli (anche se Arlecchino è sempre giovane). «Anzi, mi hanno detto, tu “sei” un vero bene culturale in carne e ossa. Che cosa vuoi di più da un ministro dei Beni culturali?».
E so anche come si recita. Recito benissimo. Recito a soggetto. In scena, qualunque cosa succeda, io dico sempre la mia. Invento che cosa fare, che cosa dire: qualsiasi cosa. Questo in politica è quello che ci vuole: anche se non sai fare niente, fai finta di fare qualcosa; anche se non hai niente da dire, lo dici lo stesso. Te lo inventi lì per lì. Questa è la cosa fantastica di quelli che sanno fare politica. La politica è pura commedia dell’arte, è purissima recita improvvisata. E io, Arlecchino, sono il più grande protagonista della commedia d’arte: figuratevi se in politica non riesco meglio io di tutti gli altri.
Ma soprattutto il fatto decisivo è che io sono famosissimo come «Arlecchino servitore di due padroni». Da decine di anni in tutto il mondo mi vedono così, perché questa è la commedia più famosa che recito in teatro. E questa, in Italia, in politica, oggi è la perfezione delle perfezioni: come se Goldoni avesse inventato questa commedia apposta per questo Governo. Due padroni! Questo Governo ha due padroni e, a quanto pare, in tutta la storia nessuno se l’è mai cavata meglio di me a servire due padroni, a farli contenti tutti e due.
Non gli sembrava vero che io ci fossi: io sono esattamente quello che desiderano più di tutto. Uno capace di servire due padroni. Anzi, che può insegnare a tutti come si deve fare quando si hanno due padroni. Adesso avete capito perché ho accettato di fare il ministro dei Beni culturali? Mi hanno proprio convinto.
PS. Guardate l’immagine: dato che non hanno niente da dire e non sanno che cosa dire e allora dicono cose stupidissime, io li faccio stare zitti. Sono bravo a farli stare zitti, questo alla gente piace moltissimo. È quello che la gente vuole di più: che finalmente stiano un po’ zitti. Soprattutto i due padroni.
Questo editoriale è stato chiuso in tipografia il 24 maggio.
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