Stefano Miliani
Leggi i suoi articoliDal fascino evocativo e a portata di camminatori degli Appennini alle dolci ondulazioni delle colline punteggiate di case e borghi, dai campi arati fra paesi e case sparse fino alla costa, tra eleganti architetture urbane e un’edilizia del boom economico spesso invasiva, come proteggere i tanti paesaggi delle Marche? Come rimediare ai tanti capannoni industriali desolatamente vuoti per crisi economiche o perché gli imprenditori hanno delocalizzato il lavoro? Il paesaggio è a pieno titolo un bene culturale da proteggere come peraltro prevede il Codice dei beni culturali? Lo abbiamo chiesto a quattro esperti: gli architetti Carlo Birrozzi, Mario Cucinella e Antonella Marrone e la storica dell’arte Marta Mazza. Dalle risposte una domanda sorprendente, almeno per la concezione consueta del pianeta: oltre ai diritti di noi umani non dovremmo pensare anche ai diritti di flora e fauna?
L’abbandono di case e capannoni è un problema grave
Carlo Birrozzi (1966), definito dai media marchigiani «il Soprintendente del terremoto», poiché era in carica nelle Marche durante l’emergenza e il post sisma del 2016-17; dal gennaio 2019 dirige l’Iccd - Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione del Ministero della Cultura.
L’architetto ricorda come «ovunque in Italia ci sia una forte stratificazione storica, per cui si può concepire tutto il territorio come paesaggio e luogo di valore. Nelle Marche il travaso dalla montagna al mare e il passaggio rapidissimo da un’economia profondamente rurale a una industriale dopo la seconda guerra mondiale ha creato squilibri. In alcune zone si è concentrato lo sviluppo industriale che però non vorrei vedere sempre in negativo: un conto è una struttura di 200 metri quadri, un altro una di duemila, negativo è aver inserito elementi eccessivamente impattanti in ambiti che non potevano sostenerli».
Per esempio? «La vallata del Tronto oltre Ascoli oppure la zona intorno a Pesaro violentata da centri commerciali e da costruzioni produttive senza qualità. Inoltre queste strutture si considerano permanenti, non sono realizzate per l’uso e venire sostituite da altre. Alla fine molti contenitori inutilizzati deturpano il paesaggio, la produzione è stata delocalizzata o non è più significativa. E c’è un continuo consumo di suolo».
Una strategia per rimediare? «Riguarda l’urbanistica e la programmazione di un’area vasta, non può essere rimandata ai singoli Comuni. Serve un’attenzione stringente. È molto significativo e non risolto il tema dell’abbandono, che investe anche l’edilizia residenziale. Con il terremoto la popolazione spostata dall’entroterra e dalla città storica a zone come la costa ha portato all’abbandono di molte case le quali hanno creato un grosso pregiudizio alle case limitrofe, ai nuclei storici. L’abbandono, anche quello industriale, va trattato a 360 gradi».
Il Ministero che cosa può o deve fare? «La nostra amministrazione può fare vincoli puntuali, ma non sono lo strumento per un’azione significativa. L’unica soluzione è partecipare alla programmazione con le Regioni, soprattutto nei piani paesaggistici regionali di cui molti sono in produzione. Sarebbe però opportuno che il Ministero della Cultura si creasse una visione del paesaggio storico e agisse su quella. Nel catalogo del nostro istituto cerchiamo di avviare una sintesi sulle emergenze significative per avere uno strumento che aiuti a una lettura geografica e storica diacronica dei territori: è un lavorone, ma può essere un valido strumento con il quale le Soprintendenze si presentano al tavolo di programmazione regionale».
LA TUTELA DEL PAESAGGIO NELLE MARCHE
Marta Mazza
Mario Cucinella
Carlo Birrozzi
Antonella Melone
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