Arianna Antoniutti
Leggi i suoi articoliLa cooperativa CoopCulture ha una presenza diffusa in oltre 250 istituzioni: musei, aree archeologiche, luoghi di cultura, biblioteche, borghi e circuiti territoriali lungo tutta la penisola. Nata nel 2010 dalla fusione tra le cooperative Pierreci e Codess Cultura che vantavano già un’esperienza ventennale, la società è leader nella progettazione ed erogazione di servizi museali ed espositivi. Fra le tante realtà gestite, figurano luoghi simbolo della cultura in Italia: la Venaria Reale nei pressi di Torino, i Musei di Piazza San Marco a Venezia, le Gallerie Nazionali Barberini-Corsini a Roma. Tuttavia è il Colosseo (gestito dal 1997, con Pierreci come primo concessionario) a essere al centro di una vicenda che appare ancora lontana dalla sua risoluzione: il bando per l’aggiudicazione dei servizi di biglietteria del Parco Archeologico. Del resto non può che essere cruciale la gestione del più visitato e iconico monumento italiano, con 7 milioni di visitatori e circa 62 milioni di incassi nel 2022 (erano stati 78 nel 2019 prepandemia).
La gara di appalto, pubblicata nell’ottobre 2022 da Consip (società per azioni partecipata al 100% dal Ministero dell’Economia e delle Finanze), su base d’asta di 20 milioni di euro, secondo il criterio di aggiudicazione del miglior rapporto qualità-prezzo, ha visto la vittoria dal consorzio bolognese Cns, con 17 milioni di euro. La definitiva aggiudicazione, però, è ora ritardata dai ricorsi presentati dalle altre società partecipanti al bando di gara, tra cui l’uscente CoopCulture. Letizia Casuccio (Roma, 1960) è tra i fondatori della cooperativa CoopCulture di cui è direttore generale da luglio 2022.
Dottoressa Casuccio, quali sono i motivi che vi hanno portati a fare ricorso?
Il nostro ricorso è generato dalla costatazione che la gara in oggetto presentava diverse problematicità. La concessione originaria di CoopCulture comprendeva la gestione complessiva di undici siti: oltre a quelli del Parco del Colosseo (Colosseo, Palatino, Foro Romano e Domus Aurea), le quattro sedi del Museo Nazionale Romano, il Parco Archeologico dell’Appia Antica e le Terme di Caracalla. La gara aveva per oggetto solamente la biglietteria del Colosseo, non contemplando tutti gli altri siti che invece rimarrebbero a CoopCulture e ad Electa, con noi concessionario, ma che senza l’attrattore principale non sono economicamente sostenibili. La seconda criticità è quella legata al nostro personale attualmente in servizio. Alla vecchia concessione (che non comprendeva solo la biglietteria, ma anche servizi aggiuntivi come visite guidate, bookshop, audio guide) sono legati 230 posti di lavoro. Con questa nuova impostazione, solo meno della metà degli attuali lavoratori potrebbero essere riassorbiti dal nuovo concessionario. Abbiamo pertanto preso la decisione di fare ricorso soprattutto in merito alla cosiddetta “clausola sociale”. È stato un atto dovuto, chiesto in primis dai lavoratori per comprendere in che modo saranno impiegati e sapere se e come troveranno collocazione coloro che rischiano di rimanere fuori dalla concessione. Sappiamo dai nostri legali che ci sono altri ricorsi che pendono sulla gara, a partire da tutte le implicazioni legate all’annunciata internalizzazione da parte di Ales (società in house del Ministero della Cultura). Come hanno valutato anche i nostri giuslavoristi, Ales potrebbe farsi carico della forza lavoro, ma non potrebbe assumere l’intera pianta organica poiché anche per Ales vale il principio di riassorbimento solo se c’è compatibilità con l’organizzazione aziendale. Vale la pena ricordare che questa, essendo un’azienda pubblica, dovrebbe procedere con la logica dei concorsi.
Uno dei punti critici del bando è dunque lo «spacchettamento» dei servizi: da concessionario di tutti i servizi aggiuntivi, si è passati all’appalto della sola biglietteria.
Si è trattato di una scelta sicuramente inconsueta. Basti pensare che la gara per gli Uffizi di Firenze, pubblicata il 19 maggio, prevede una concessione completamente integrata. Come pure la concessione, da noi recentemente vinta, per le Gallerie Barberini-Corsini che comprende, oltre alla biglietteria, anche i bookshop, la gestione delle prenotazioni e tutte le attività didattiche. Con questa frammentazione si crea disparità tra una gara e l’altra. Potrebbe, infatti, profilarsi una disparità di trattamento per gli operatori, con evidenti ricadute sui lavoratori.
Passando da un concessionario all’affidamento di un appalto a un prestatore di servizi, che cosa cambia dal punto di vista della qualità dell’offerta al pubblico?
Tutto può cambiare. Un concessionario è colui che ogni giorno compie un’analisi di mercato e capisce in quale modo orientare le attività. Ha la possibilità di ideare e produrre beni e servizi pensati per il visitatore, utilizzando di fatto tutte le possibili leve del marketing. È questo il tipo di lavoro che sanno concretizzare le strutture specializzate come la nostra che, dalla partecipazione a fiere «ad agreement» con tour operator di tutto il mondo, è in grado di massimizzare i risultati. Un fornitore, invece, mette a disposizione solo ciò che è ideato e richiesto dalla stazione appaltante. Generalmente punta a ottimizzare i costi, mentre un concessionario guarda soprattutto alla valorizzazione sia culturale che economica della concessione. Dietro a ogni concessionario, infatti, c’è un mondo di professionalità. Ad esempio, noi impieghiamo più di 100 persone fra ufficio scuole, call center multilingue, biglietterie multicanale. Gestiamo un’attività imprenditoriale complessa, che va dall’ufficio stampa al rapporto con i tour operator. Ora, con il nuovo appalto, al Colosseo tutto questo potrebbe perdersi.
Per lo Stato si può configurare un vantaggio economico?
Forse in prima battuta. Poi, nel lungo termine, la Pubblica amministrazione potrebbe trovarsi a rinunciare ai vantaggi acquisiti, andando incontro a nuovi costi, per dotarsi di servizi simili a quelli che forniva il concessionario. Sarebbe quindi una convenienza solo apparente.
La gestione del Parco Archeologico da parte di CoopCulture è stata sottoposta, in 25 anni, a ricorrenti proroghe. La prima, nel 2001, la seconda nel 2005, mentre dal 2010 la prassi è diventata annuale. Nel febbraio 2017 e nell’ottobre 2019 erano state indette due nuove gare di appalto, mai giunte all’affidamento a causa di annullamenti giurisdizionali.
In Italia ci sono una decina di concessioni in regime di proroga come, solo per citare le realtà maggiori, gli Uffizi, Pompei, la Reggia di Caserta. C’è stato sicuramente un problema di reiterazione delle proroghe, ma si è trattato di una volontà della Pubblica amministrazione. Ovviamente lo status di icona culturale del Paese pone il Colosseo al centro dell’attenzione mediatica, ogni evento che lo riguarda assume rilevanza nazionale. Senza contare poi che attorno ad esso ruotano questioni sempre aperte. Ad esempio, anche se è un dato poco noto, il Colosseo è un monumento a ingresso contingentato. Nello specifico, il sito è visitabile da non più di 3mila persone contemporaneamente. È chiaro che la domanda è molto superiore all’offerta. Inoltre sulla piazza del Colosseo, la cui gestione ricade sul Comune di Roma, esiste un evidente problema di «secondary ticketing». A Roma, purtroppo, non è stata ancora messa a punto una regia pubblica incisiva per il controllo di una piazza così iconica. Ci siamo trovati spesso da soli nel gestire questa realtà complicata.
Il biglietto nominativo può essere una soluzione al «secondary ticketing»? E come risolvere il problema, lamentato da più operatori del settore turistico, creato dell’acquisto massivo dei biglietti tramite «ticketbot» (programmi informatici capaci di accedere alla vendita dei biglietti, Ndr)?
Sì, può essere una soluzione, ma la scelta è della Pubblica amministrazione. Per quanto concerne i ticketbot, esistono programmi, di cui CoopCulture si è dotata da tempo, in grado di rilevarli ed espellerli dal sistema. Sempre su questo tema, confermo che stiamo lavorando a soluzioni tecnologiche sempre più efficaci, con l’obiettivo di garantire un accesso sempre più equo. Ma questo non basta. La disponibilità dei biglietti sarà sempre insufficiente rispetto alla domanda. Alle soluzioni tecnologiche, vanno affiancati interventi organizzativi definiti dal Parco come, ad esempio, l’ampliamento delle fasce orarie di visita del monumento, o l’idea di lotti riservati a operatori iscritti ad albi fornitori. In questo modo, il fenomeno della grande richiesta di biglietti diventerebbe amministrabile.
Qual è la sua opinione su Ad Arte, la piattaforma per l’acquisto dei biglietti dei musei italiani, annunciata dalla Direzione Generale Musei?
L’idea di una piattaforma dei musei italiani che armonizzi e unifichi i siti delle istituzioni culturali, e di conseguenza dei vari concessionari, è sicuramente valida. Certo non riesco a immaginare che si possano però gestire, a livello centralizzato, politiche di prezzo, di marketing, di fidelizzazione, di ingaggio della cittadinanza. Un conto è creare una cornice, ma la gestione va lasciata al singolo museo e al singolo concessionario.
Quali sono le vostre previsioni per il turismo nel 2023?
È un anno record, supereremo sicuramente le cifre prepandemiche del 2019. L’aumento è sotto i nostri occhi in tutta Italia. Abbiamo avuto numeri straordinari anche nei mesi tradizionalmente di minor afflusso turistico, come gennaio e febbraio. Il trend è quello di una grande e costante crescita. Proprio per questo, è tanto più assurdo che i posti di lavoro nel settore siano a rischio. Penso a quanto è successo recentemente a Napoli ai lavoratori di Palazzo Reale, la cui Direzione, tornando al tema di Ad Arte, ha deciso di chiudere i rapporti con il proprio concessionario, affidando la biglietteria alla piattaforma del Mic. È un paradosso doloroso che, nel momento in cui in Italia aumenta il turismo, ci siano lavoratori che rischiano di perdere il posto.
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