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El Alto (Bolivia), Uffici (2007), Freddy Mamani Silvestre

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El Alto (Bolivia), Uffici (2007), Freddy Mamani Silvestre

WORLD SAFARI | Cromoterapia

Le 100 architetture più spettacolari dal Duemila commentate da Gaggero & Luccardini

Luccardini, Gaggero

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C’è in giro una competizione fra gli architetti, che vengono incaricati spesso con l’unico scopo di lasciare il segno. Noi trattiamo la cosa in tono bonario, come fosse un invito a visitare il manufatto trovato. Però poniamo interrogativi che facciano almeno riflettere. La cultura globale e la contemporaneità dell’informazione giocano i loro ruoli. In ogni città si tenta di avere un qualche manufatto dalla forma epocale: matitoni, biscioni, rasoi, schegge, apribottiglie, supposte, caciotte, prismi incubotici e incombenti. L’estetica e il bello sono categorie obsolete. L’etica è superatissima; conta solo l’utile e si misura in denaro. Il bello è confuso con lo stupefacente. Le soluzioni più ostiche rivelano comunque genio e inventiva. Però impressiona la supponenza di molti, l’assenza di responsabilità per le generazioni future e in fondo la superficialità culturale. Viviamo lo stato di fatto. Non c’è spazio per la riflessione, tantomeno per la contemplazione. Ci capitano delle cose e le subiamo, quindi anche le forme delle case e delle città. Non conta l’insieme e nemmeno l’intorno.


El Alto (Bolivia), Uffici (2007), Freddy Mamani Silvestre
L'architettura radicale art deco incontra lo stile Las Vegas. “Con la mia architettura voglio che il mondo sappia che la Bolivia ha una propria identità», ha detto il progettista alla BBC. Freddy Mamani Silvestre si ispira alle tradizioni artigianali della propria cultura aymara indigena e all'architettura pre-Inca. [design.fanpage.it]

Mamani dice: «Voglio dare una identità a questa città, come se fosse una esposizione eterna» [aljazeera.com]

La volontá non manca ed è anche molto identitaria: la propria. Non c’è traccia, peró, della volontá e dell’identitá degli altri, che scoprono di avere quella del progettista. Sarebbe perciò corretto se da questa case uscissero persone con abiti variopinti e copricapi con piume di pappagallo aratinga.


Tokyo (Giappone), Reversible Destiny Lofts (2005), Shusaku Arakawa e Madeleine Gins
Gli appartamenti sono nove, realizzati con sole tre forme geometriche: il cubo, la sfera e il tubo. Ogni alloggio ha una cucina circolare centrale a cui si aggregano tre o quattro vani di forme diverse. L'intero complesso è dipinto in quattordici colori e collegato da una serie di passerelle e scale esterne. Il progetto si ispira alla filosofia dell'architettura «procedurale» sviluppata dagli autori, che mira a stimolare i sensi. Chi abita in questi spazi ha la possibilità di scoprire il pieno potenziale del corpo e sperimentare ambienti difficili il che usualmente accade ai bambini o agli anziani. In pratica qui il «destino è reversibile» nel corso della vita. [reversibledestiny.org]

Questo progetto è inteso come esperimento di psicologia percettiva. L'intero lavoro ha lo scopo di ritardare la morte. [«The Japan Architect» n. 65]

Preoccupa il rapporto coi vicini che abitano le altre case del quartiere. Come ti guardano? Ti invidiano? In fondo abiti in una casa che dovrebbe rallentare la morte. Speriamo non l'agonia.


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Tokyo (Giappone), Reversible Destiny Lofts (2005), Shusaku Arakawa e Madeleine Gins

El Alto (Bolivia), Uffici (2007), Freddy Mamani Silvestre

Luccardini, Gaggero, 29 giugno 2021 | © Riproduzione riservata

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